Il progetto di quest’anno gira intorno all’intenzione educativa di
dare valore alla parola. Siamo in mezzo alle parole e per certi versi abbiamo a disposizione molti strumenti che potrebbero favorire la comunicazione e il dialogo tra le
persone. Ma – come dicono i Vescovi negli orientamenti pastorali per questo decennio – c’è un’emergenza educativa che riguarda anche il tema della comunicazione. Ci piace pensare che i bambini e i ragazzi nei nostri oratori quest’estate abbiano la possibilità
di riflettere sull’importanza della parola.
Per qualcuno la parola è obsoleta: è una forma comunicativa largamente superata dalle immagini e dalla tecnologia. Ne siamo così sicuri? I linguaggi per comunicare sono molti. È però attraverso la parola che possiamo dare corpo a pensieri e immaginazione; esplicitare
e comunicare quello che ciascuno ha vissuto o porta nel cuore. Gli animali comunicano, ma solo gli uomini parlano.
È con la parola che possiamo entrare dappertutto (passepartout, appunto): nel nostro cuore per dare un nome ai sentimenti e consistenza ai pensieri, nel cuore delle cose per usare le parole giuste e adatte, nel cuore degli altri per costruire relazioni buone
e positive, nel cuore di Dio se impariamo a capire quando e come ci fa arrivare la sua parola.
Non funziona automaticamente. Occorre averne cura, altrimenti non si entra da nessuna parte e riempiamo il mondo di tanti bla bla che creano disordine, rumore, confusione (come era già successo, a suo tempo, intorno a una certa torre che poi non stava in piedi).
Una parola (anche soltanto una parola) al posto giusto rende la vita più bella e stiamo tutti molto meglio.
La possibilità di parlare è forse la più importante caratteristica che distingue l’uomo dagli animali: le parole permettono la comunicazione di pensieri e sentimenti, di idee e progetti. Con le parole gli uomini possono determinare gli umori e creare un clima:
quando le parole sono buone, si creano dei legami; quando non lo sono, ci si scontra e ci si combatte.
Noi esistiamo grazie alle parole: abbiamo capito di esserci, proprio quando qualcuno ha cominciato a rivolgersi a noi, a chiamarci, a dire qualcosa di noi e del mondo.
Trent’anni fa, il cardinal Martini scriveva la sua prima lettera pastorale intitolata “In principio la parola” e nell’introduzione diceva:
È stata la Parola per prima a rompere il silenzio, a dire il nostro nome, a dare un progetto alla nostra vita.
È in questa parola che il nascere e il morire, l'amare e il donarsi, il lavoro e la società hanno un senso ultimo e una speranza.
È grazie a questa Parola che io sono qui e tento di esprimermi. “Nella tua luce vediamo la luce” (Sal 35, 10).
Non è una riflessione nata a caso: il cristianesimo presenta la figura di Gesù come Parola di Dio offerta agli uomini; essi non sono semplicemente di fronte alla novità di Dio che offre parole al suo popolo. La novità vera è nella sua figura: in lui Dio è anche
voce e presenza in prima persona.
Parole buone non sono solo quelle eleganti. Parole buone sono quelle che sanno raccontare il bene ricevuto, il sogno di una vita buona per tutti. Non si tratterà, quindi, di insegnare ai ragazzi a “non dire le parolacce”, ma di aiutarli a trovare quelle parole
che permettono di costruire il mondo. Per questo l’estate continuerà a essere una grande occasione educativa.
Dice Italo Calvino alla fine delle Città invisibili:
“l’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo
riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare,
e dargli spazio”. Cominciando dalle parole, usando le parole.
QUATTRO OBIETTIVI (più uno di scorta)
1) La verità delle parole (pensieri, parole, opere… omissioni)
La parola è il dono più grande che si possa fare a un’altra persona perché porta fuori di noi quello che solo noi conosciamo. Tanto per cominciare è una specie di strumento esplorativo: è quando diamo un nome alle cose che stanno dentro di noi, che possiamo
conoscerci meglio e guardarci con verità. È quando diamo un nome alle cose che stanno attorno a noi, che possiamo entrare in relazione con il mondo e le persone.
A volte la parola porta fuori quello che c’è dentro ciascuno di noi, altre volte, invece, maschera o nasconde quello che c’è dentro. Una persona autorevole è una persona che infila correttamente pensieri e parole: dice quel che pensa, pensa quel che dice… (a
volte potrebbe essere inopportuno dire tutto quello che pensiamo; però non è mai corretto dire quello che non pensiamo).
È importante aiutare bambini e ragazzi a riconoscere la possibilità che hanno di avere parole da utilizzare. Ma vanno guidati a capire quanto le loro parole possono dire la verità della vita e il coraggio necessario
per vivere nella verità delle loro parole. Non dimenticando il vangelo: Il vostro parlare sia “sì, sì no, no” …
2) Parlare per esprimere e capire
La parola serve a dire quello che c’è dentro, nel nostro cuore e nel cuore delle cose. Bisogna avere un po’ di vocabolario e imparare a non essere superficiali. Le parole escono da noi, ma non sono “automatiche”: il vocabolario ce lo consegnano altri, le parole
vanno prese in prestito da un linguaggio che sta attorno a noi. Il processo è particolare: suoni e segni che altri hanno inventato, possono attraversare la nostra esperienza, il più profondo del nostro cuore e uscire “da” noi per dire “di” noi. La parola è
uno strumento di esplorazione: più parole, più capacità di pensare.
Don Lorenzo Milani diceva che l'operaio conosce 300 parole, il padrone 1000, per questo lui è il padrone.
Potremmo tentare di far capire ai bambini e ai ragazzi quanto sia importante farsi un vocabolario, avere parole, averne molte per poter esprimere tutta la ricchezza del mondo e di ciò che ci portiamo dentro.
Sempre per ogni pensiero le parole
Ho trovato – tranne per uno –
E questo preciso – mi sfida –
Come una mano che cerchi di disegnare il sole
Col gesso per razze – nutrite di tenebre –
Tu, come lo cominceresti il tuo?
Potrai rendere il rosso rovente con il carminio –
O il mezzogiorno – con l’indaco?
(E. Dickinson, Silenzi, n. 581)
3Parole belle e pulite
Quando una parola è consegnata, io non me ne libero. In qualche modo rimane ancora dentro di me. Per questo è importante ricordare che la parola può ferire e lasciare in giro incomprensioni e divisioni. Le parole possono essere pesanti come sassi, che
restano dentro anche a chi le pensa e le dice. Con le parole si possono mettere in giro cose buone. Si può essere gentili, cordiali, corretti, leali e trasparenti. E poi bisogna essere responsabili della propria parola: che è mantenere la parola data ma anche
avere presente le conseguenze delle proprie parole (“parola data, più ritornata”).
Con questo obiettivo vogliamo aiutare bambini e ragazzi a capire che prima di dire una parola dovresti chiederti se è bella, se è utile, se serve a qualcosa di buono.
Se uno non pecca nel parlare, costui è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il corpo. Se mettiamo il morso in bocca ai cavalli perché ci obbediscano, possiamo dirigere anche tutto il loro corpo. Così anche
la lingua: è un membro piccolo ma può vantarsi di grandi cose.
(Dalla Lettera di Giacomo, capitolo 3)
4) Silenzio e ascolto
Prendersi cura della parola è anche fare spazio al silenzio. Che non è necessariamente assenza di parole: il silenzio è far tacere le chiacchiere inutili, perché possano trovare spazio dentro di noi altre parole. Nel silenzio, nell'ascolto del proprio
cuore, c'è il modo di trovare le parole più adatte per dare forma ai pensieri e ai sentimenti; e per ragionare sulle parole che ci arrivano dagli altri.
Aiutiamo bambini e ragazzi a capire che il silenzio non è l’assenza di parole, ma la possibilità di trovare parole nuove, più buone, più belle.
Quando trovo in questo mio silenzio una parola,
Scavata è nella mia vita come un abisso.
G. Ungaretti
5 Dialogo e comunicazione
Diventare sensibili alla qualità del proprio modo di comunicare con gli altri. Avere il gusto del dialogo e del confronto; imparare a discutere insieme, provando a mettersi dal punto di vista dell'altro, a capire ciò che vuole dire, a non voler prevalere,
a lasciare spazio e a confidare nella ricchezza che viene dalla condivisione delle parole e dei pensieri.
È uno degli aspetti più belli della parola: la possibilità dello scambio e delle relazioni con gli altri. A cui dobbiamo educare bambini e ragazzi: il dialogo non è la chiacchiera, lo scambio di opinioni non è il pettegolezzo,
il confronto è possibilità di conoscere l’altro che in Gesù è Dio e l’uomo.
Alcuni dicono che
Quando è detta
La parola muore.
Io dico invece che
Proprio quel giorno
Comincia a vivere
(E. Dickinson, Silenzi, n. 1159)